Monday, March 31, 2014

Drucker sull'invenzione dello Stato Moderno

Come il pesce che neanche si rende conto dell’esistenza dell’acqua, pensiamo che lo Stato come lo conosciamo sia una realtà eterna e senza alternative. In realtà è un’invenzione storica abbastanza recente: ha radici nel 1500, ma la sua forma attuale ha solo una sessantina d’anni, quelli che ci separano dalla Seconda Guerra Mondiale.

Alla sua storia Drucker - l’inventore del management come scienza - dedica un capitolo nel suo Post Capitalist Society. Non ho mai incontrato una sintesi così chiara nell’identificare gli snodi essenziali: ne faccio qui il bignamino per frettolosi, traducendo i passaggi salienti (traduzione e sottolineature mie: non ho la versione italiana, le pagine si riferiscono alla Kindle Edition).

Drucker poi procede mostrando come questa forma di governo vada in crisi nella “knowledge society”, non riporto questa parte per non abusare della pazienza dei miei 25 lettori.
Rimando all’originale, ché ne vale la pena: il mio parere (per quel che vale) è che è una lettura che non può mancare a chi vuole capire il mondo d'oggi.

Ma basta Gaved, ora, e spazio a Drucker.

Dallo Stato-Nazione al Megastato
L’impero Spagnolo nelle Americhe produceva tanto oro e argento che la Spagna, sotto Filippo II, riuscì a finanziare il primo esercito permanente dai tempi delle legioni Romane: la Fanteria Spagnola - che si potrebbe definire la prima organizzazione “moderna” - e con questa forza la Spagna lanciò la sua campagna per il dominio europeo. Contrastare questa minaccia divenne la spinta e l’obbiettivo dell’inventore dello Stato-Nazione, il giurista francese Jean Bodin, nel suo “I Sei Libri della Repubblica” che fu pubblicato nel 1576.
Solo l’imponenza della minaccia spagnola fece accettare le raccomandazioni di Bodin: alla fine del sedicesimo secolo il suo modello di Stato-Nazione appariva come pura fantasia. Quello che raccomandava era una burocrazia controllata centralmente che rispondesse solo al Re, controllo centralizzato della forza militare e un esercito guidato da soldati di professione designati dal governo centrale e che solo ad esso dovevano rispondere, controllo centralizzato della moneta, delle tasse e delle dogane, l’amministrazione della giustizia comandata dal centro piuttosto che da corti composte dai magnati locali. Tutto questo era l’esatto opposto di ciò che era esistito per un migliaio d’anni, cioè dal collasso dell’impero romano e minacciava i poteri stabiliti: una Chiesa autonoma con vescovadi e abbazie e le loro esenzioni, signori locali di ogni dimensione, ognuno con la sua compagnia di armati che solo a lui doveva fedeltà, ognuno con la sua giurisdizione ed il suo potere di imporre tasse; città libere e associazioni commerciali autonome; e molti altri … (pp. 115-116)
Nei 400 anni che ci separano da Bodin, lo Stato-Nazione è diventato l’unico organo di potere politico e durante gli ultimi 200 anni, dalla Rivoluzione Francese, è anche diventato il portatore della religione secolare: la fede nella liberazione attraverso la società. Di fatto il totalitarismo - Comunista come Nazista - è stato l’ultimo distillato ed apoteosi della dotrina dello Stato-Nazione sovrano come l’unico e solo organo di potere. Teoria politica e legge costituzionale conoscono solo lo stato sovrano, e negli ultimi cent’anni questo stato è diventato sempre più potente e dominante, mutandosi in un “megastato”. (p. 10)

Le dimensioni del Megastato
Nel 1870 lo Stato-Nazione aveva trionfato ovunque; persino l’Austria era diventata Austria-Ungheria, una federazione di due stati-nazione, e gli stati-nazione del 1870 apparivano ed agivano esattamente come li aveva inventati Bodin tre secoli prima.
Ma lo stato-nazione del 1970, cent’anni dopo, ha ben poca somiglianza con lo stato di Bodin o lo stato-nazione del 1870: si è trasformato nel Megastato. La specie può essere la stessa del progenitore, ma tanto differente come una pantera da un gattino. Lo stato nazionale era stato progettato per essere il guardiano della societò civile: il Megastato ne è diventato il padrone, e nella sua estrema forma totalitaria ha rimpiazzato completamente la società civile. Il Megastato, anche nella sua forma anglosassone meno estrema, considera la proprietà del cittadino un diritto alla discrezione dell’esattore delle tasse. Come ha evidenziato per primo Schumpeter (Lo stato fiscale, 1918), il Megastato afferma che i cittadini hanno diritto solo a quello che lo Stato, in modo esplicito o tacito, permette loro di avere. Lo stato nazionale di Bodin aveva come sua principale funzione il mantenimento della società civile, specialmente in periodo di guerra. Il Megastato ha sfumato le distinzioni tra tempo di guerra e tempo di pace: invece della pace c’è la Guerra Fredda. (p. 121)

Lo stato balia
Questo passaggio cominciò negli ultimi decenni dell’Ottocento con l’invenzione del Welfare State da parte di Bismarck.
Il governo era finora stato percepito come un agente politico: Bismarck ne fece una agenzia sociale. Nelle democrazie, i governi offrivano solamente assicurazioni o, al massimo, pagamenti di prestazioni, ma non facevano lavoro sociale né forzavano i cittadini a pagare per la previdenza o la pensione. Tutto questo cambiò rapidamente dopo la seconda guerra mondiale: da garante, lo Stato diventò un gestore. Ospedali e cure mediche furono poste sotto il monopolio statale, le persone che vi lavoravano diventarono dipendenti statali e lo stato cominciò a gestire il sistema sanitario.
Il governo cessò di essere quello che definiva le regole, il facilitatore, l’assicuratore, il pagatore, diventò l’esecutore ed il manager. Nel 1960 era già dottrina generale e accettata in tutti i paesi occidentali che il governo fosse l’ente corretto per prendersi cura di tutti i problemi sociali. Di fatto, l’attività privata, non statale, nella sfera sociale diventò addirittura sospetta.

Il Megastato come padrone dell'economia
Per la fine dell’Ottocento lo stato-nazione era stato trasformato in un agente fondamentale dell’economia. La Grande Depressione fece sorgere la convinzione che lo stato fosse - e dovesse essere - il controllore del clima economico. John Maynard Keynes (1883-1946) sostenne per primo che l’economia nazionale - per lo meno in paesi medio-grandi - è isolata da quella mondiale e che possa essere completamente determinata dai governi attraverso la loro spesa.

Lo stato fiscale
Le due guerre mondiali di questo secolo trasformarono lo stato-nazione nello “stato fiscale”. Fino alla prima guerra nessun governo nella storia fu mai in grado - anche in tempo di guerra - di estrarre dalla popolazione più che una piccola parte dei suoi redditi, forse il 5-6%, ma nella prima guerra mondiale ogni belligerante, perfino il più povero, scoprì che non c’era praticamente limite a quello che lo stato può spremere dal suo popolo.
Gli stati sono giunti a credere che possono spendere o chiedere in prestito quanto vogliano e che, perciò, non ci siano limiti alla spesa. In questo nuovo sistema il governo diventa il reggitore della società civile, capace di plasmarla e di darle forma: in primo luogo, attraverso tasse e spese lo stato può ridistribuire i redditi della società, poi, col potere del portafoglio, può formare la società secondo l’immagine del politico al potere. Diventa troppo facile infine concepire la totalità del reddito nazionale come proprietà dello Stato, con gli individui aventi diritto solo a quanto il governo decida di lasciar loro.

Lo stato nella guerra fredda
L’ultima mutazione che creò il Megastato, lo stato della Guerra Fredda, fu una risposta alla tecnologia.
La sua origine risiede nella decisione tedesca, negli anni 1890, di costruire una grande flotta militare in tempo di pace. Con questo si ebbe l’inizio della corsa agli armamenti. I Tedeschi sapevano di prendersi un rischio politico enorme; di fatto, molti dei politici tedeschi resistettero alla decisione, ma gli ammiragli erano convinti che la tecnologia non lasciava loro alternativa: una marina moderna implicava navi di acciaio, che dovevano essere costruite in tempo di pace. Rinviare la costruzione all’inizio del conflitto, come era tradizione, avrebbe significato aspettare troppo.

Negli anni ’60, il Megastato era diventato una realtà politica in tutte i paesi sviluppati, in tutti i suoi aspetti: come agenzia sociale, come padrone dell’economia, e - nella maggior parte dei casi - come stato di “Guerra Fredda”.
In termini di libertà politica, intellettuale e religiosa, i paesi totalitari (in particolare quelli stalinisti) e le democrazie (che per molti anni coincidettero primariamente con i paesi anglofoni) erano totalmente antitetici, ma in termini di concezione del potere differivano più in grado che in natura. Le democrazie facevano le cose in modo diverso: differivano molto meno rispetto a cosa dovesse essere fatto. Tutte vedevano lo stato come il padrone della società e dell’economia, e tutti definivano la pace come “Guerra Fredda”. (p.127)



Saturday, March 8, 2014

Meus post de organização pessoal

Reparei agora que nunca falei nesse blog de dois post que fiz alguns meses atrais no "Imagem Pessoal" da Fabi Saad ...
Aqui vão ...

  1. Como manter a inbox a zero (já é alguns anos que a minha é assim ....): http://imagempessoal.band.uol.com.br/inbox-zero/
  2. O meu sistema de listas contra o stress; http://imagempessoal.band.uol.com.br/listas-stress/
Enjoy!

Friday, January 10, 2014

Alexis de Tocqueville - L'Antico Regime e la rivoluzione

Di Tocqueville si cita normalmente “Democrazia in America”, in cui mi sono arenato a pagina 20 (la terza in cui descrive la geografia della valle del Mississippi). “L’Ancien Regime e la Rivoluzione” (il suo secondo classico, pubblicato nel 1856), invece, l’ho letto con gran gusto, tanto che ho voluto sintetizzarlo qui per i miei pochissimi lettori ...

Il suo metodo è profondamente realista: parte da uno studio ampio e profondo delle fonti originarie ma non ha paura di generalizzare e indicare rapporti di causa e effetto. Il risultato è un libretto svelto e appassionante, pieno di sorprese (non immaginavo che in alcuni paesi tedeschi la servitù della gleba finisse solo nel 1833, per dire) e che mostra le radici della concezione moderna dello Stato.

Se fosse un dramma, vedrebbe tre protagonisti:

1. Il potere. La tesi principale del libro è che l’amministrazione centralista dello stato, voluta dai re assolutisti contro il sistema di autonomie feudali, è passata senza traumi dall’Ancien Regime alla Francia post-rivoluzionaria. Chi agisce sono i re, gli amministratori, gli intellettuali, ma quello che emerge da tutte le loro azioni sembra avere una personalità, una logica e addirittura una psicologia propria, che alla fine vince, unica ad emergere dalle rovine:
  • "Nulla fa supporre che per compiere questo difficile lavoro il governo dell’antico regime avessse seguito un piano profondamente meditato in anticipo: si era soltanto abbandonato all’istinto che porta ogni governo a voler condurre da solo tutti gli affari". p. 98 (qui e in seguito mi riferisco all’edizione BUR tradotta del 2011 a cura di Giorgio Candeloro)
  • "In Francia l’amministrazione pubblica è già caratterizzata dall’odio violento che le ispirano indistintamente tutti coloro, nobili e borghesi, i quali al di fuori di essa vogliono occuparsi d’interessi pubblici. Il più piccolo ente che sembri volersi formare senza la sua partecipazione le fa paura; la più piccola associazione libera, qualunque ne sia lo scopo, la infastidisce. Lascia sussistere soltanto quelle che essa ha arbitrariamente composte e che presiede. Le stesse grandi compagnie industriali le sono poco gradite: in una parla, non ammette che i cittadini si occupino, in una qualsiasi maniera, dei loro interessi; preferisce la sterilità alla concorrenza.” p. 103
Un potere così è come un padre che - non amando la libertà dei suoi figli - si sostituisce a loro. Un potere onnipotente educa figli impotenti:
  • "Nessuno pensa di portare a termine qualche cosa di importante senza che lo Stato intervenga” p 107
  • "Agli occhi della maggioranza, soltanto il governo ormai può assicurare l’ordine pubblico: il popolo non ha paura che della gendarmeria a cavallo, i proprietari non si fidano che di essa. Per gli uni e per gli altri, il gendarme a cavallo non è solo il principale difensore dell’ordine, è l’ordine stesso” p. 108
  • "Avendo il governo preso il posto della Provvidenza, è naturale che ognuno l’invochi nelle sue private necessità” p. 108
Impotenti, e resi uguali (“omologati”, direbbe Pasolini) e divisi tra loro:
  • "La Francia era il paese in cui gli uomini erano divenuti più simili tra loro: tutti gli uomini che l’abitano, particolarmente quelli della media e dell’alta classe della società, i soli che si fanno notare, sembrano tutti esattamente eguali gli uni agli altri” p. 117
  • "Questi uomini tanto simili erano più separati di quanto non erano mai stati in piccoli gruppi estranei e indifferenti gli uni agli altri“ p. 123
  • "Il dispotismo, invece di lottare contro questa tendenza [all’individualismo], la rende irresistibile perché toglie ai cittadini ogni passione comune, ogni mutuo bisogno, ogni necessità di capirsi, ogni occasione di agire insieme; li mura, per così dire, nella vita privata” p. 31
  • “... così che il Governo si trovasse di fronte solo un piccolissimo numero di uomini separati gli uni dagli altri” p. 145
  • “Quando sopravvenne la rivoluzione vanamente si sarebbero cercati nella maggior parte della Francia dieci uomini i quali avessero l’abitudine di agire in comune secondo una regola” p. 243 

2. Gli Illuministi, nati dall’astrazione e generatori dei rivoluzionari di tutte le epoche posteriori.
  • "La condizione stessa di questi scrittori li preparava a prediligere in materia di governo le teorie generali e astratte e a credervi ciecamente. Nell’immenso distacco dalla pratica in cui vivevano, nessuna esperienza veniva a temperare in loro gli ardori istintivi; nulla li avvertiva degli ostacoli che i fatti potevano opporre anche alle riforme più desiderabili; non avevano nessuna idea dei pericoli a cui si accompagnano sempre le rivoluzioni più necessarie, non li presentivano neppure, perché l’assenza completa di libertà politica faceva sì che il mondo degli affari pubblici non soltanto fosse loro mal noto, ma invisibile. … Divennero così più arditi nelle loro innovazioni, più amanti delle idee generali, più sprezzatori della saggezza antica e anche più fiduciosi nella loro ragione individuale di quanto per solito non siano gli autori che scrivono libri speculativi sulla politica.” p. 179
  • “ … si videro rivoluzionari di una specie sconosciuta, che portarono l’audacia fino alla follia, che nessuna novità poté sorprendere, nessuno scrupolo trattenere e che non esitarono mai davanti all’attuazione di alcun proposito. E non bisogna credere che questi esseri nuovi fossero stati la creazione isolata ed effimera di un momento, destinati a passare con essa; hanno formato una razza che si è perpetuata e diffusa in tutte le parti civili della terra e che dovunque ha conservato la stessa fisionomia, le stesse passioni, lo stesso carattere. L’abbiamo trovata nel mondo nascendo; e l’abbiamo ancora sotto gli occhi” p. 194  Qui parla dei sessantottini, degli ecologisti e dei nazi-gay, giusto? Cochin descrive organizzazione e azione dei club giacobini prima della Rivoluzione e sembra di rivedere i gruppi extraparlamentari del ’68. A scanso di equivoci, non può averli visti, né loro né i loro nonni bolscevichi: è morto nel ’16 nella mattanza della Prima Guerra Mondiale, come Peguy]
  • "Essi non odiano soltanto certi privilegi, ma ogni differenza; adorano l’uguaglianza fin nella schiavitù. Quanto intralcia i loro piani è buono soltanto ad essere spezzato. I contratti ispirano loro poco rispetto, i diritti privati, nessun riguardo. O piuttosto, a parlare chiaramente, non esistono già più ai loro occhi diritti privati, ma solo l’utilità pubblica” “Per il passato, hanno un disprezzo senza limiti” “ Si dimostrano molto nemici delle assemblee deliberanti, dei poteri locali e secondari e, in generale, di quei contrappesi che in tutti i tempi, fra i popoli liberi, sono stati messi per bilanciare il potere centrale … La sola garanzia che escogitano contro l’abuso del potere è l’educazione pubblica.” p. 199
  • “Bisogna che lo Stato governi secondo le regole dell’ordine naturali e in tal caso bisogna che sia onnipotente!” Mercier de la Riviere. “Secondo gli economisti, lo Stato non deve solo comandare alla nazione ma foggiarla in un dato modo … è suo dovere penetrarli di certe idee e fornire al loro cuore i sentimenti che giudica necessari” “Lo Stato fa degli uomini tutto ciò che vuole” (Bodreau). p. 200 Piccole note che fanno capire il furore talebano dei sostenitori della scuola pubblica.
  • e si capisce che il Comunismo è la naturale evoluzione di questa concezione: “Nulla nella società apparterrà singolarmente e in proprietà a nessuno. La proprietà è detestabile e colui che tenterà di ristabilirla sarà rinchiuso per tutta la vita, come un pazzo furioso e nemico dell’umanità. Ogni cittadino sarà sostentato, mantenuto e occupato a spese del pubblico. Tutti i prodotti saranno ammassati nei magazzini pubblici per essere distribuiti a tutti i cittadini e servire ai loro bisogni. Le città saranno costruite su uno stesso piano; tutti gli edifici per uso privato saranno eguali. A cinque anni tutti i bambini saranno tolti alla famiglia e educati in comune, a spese dello Stato, in maniera eguale” Codice della Natura, Morelly 1755. p. 201
  • Chi vince, guarda un po’, è il potere: “Si accinsero allora a mettere insieme un accentramento amministrativo sconfinato e un corpo legislativo preponderante: l’amministrazione della burocrazia e il Governo degli elettori. La nazione come corpo ebbe tutti i diritti della sovranità; il singolo cittadino fu chiuso nella più stretta dipendenza. All’una furono chieste l’esperienza e la virtù di un popolo libero; all’altro, le qualità di un buon servitore” p. 201
  • Caro rivoluzionario, non mi interessa molto se è per una buona causa che mi ammazzi: “Ad accrescere il male fu precisamente l’intenzione pura e disinteressata che faceva agire il Re e i suoi ministri; perché non v’è esempio più pericoloso della violenza esercitata a buon fine e da persone per bene” p. 226 E di morti la Rivoluzione Francese ne ha fatti: “An estimated 17,000 French men and women were executed after due process, between 12,000 and 40,000 went to the guillotine or gallows without a trial, and somewhere between 80,000 and 300,000 perished in the suppression of the royalist rebellion in the Vendée.” Ferguson, Niall (2011-03-03). Civilization: The West and the Rest (p. 155). Penguin”, citando http://necrometrics.com/wars18c.htm#FrRev1
Il “furore anticattolico della rivoluzione” è solo una conseguenza, potremmo dire, minore:
  • "Per capire è necessario non perdere mai di vista … che tutto lo spirito politico di opposizione provocato dai vizi del governo, non potendo rivelarsi negli affari pubblici, si era rifugiato nella letteratura, e gli scrittori erano divenuti i veri capi del grande partito che voleva rovesciare tutte le istituzioni sociali e politiche del paese. [Si consideri anche che questi avevano visto svanire i loro avversari naturali nella lotta delle idee con la soppressione - drammatica e misteriosa - dell’ordine dei Gesuiti, avvenuta in Francia nel 1764]. Posto bene in chiaro questo, la questione cambia. Non si tratta più di sapere in che modo la Chiesa di quel tempo potesse peccare come istituzione religiosa, ma in che cosa ella ostacolasse la rivoluzione politica che si preparava e in qual modo potesse essere particolarmene molesta agli scrittori che della rivoluzione erano i promotori principali.” Generalizzando, non ho mai visto nessuno scagliarsi contro i peccati della Chiesa per amore alla Chiesa, normalmente per lo fanno per disegni di potere.
  • Nota a margine: Tocqueville afferma (p. 191) “Il rispetto della religione garantisce …, più di ogni altra cosa, la stabilità dello Stato e la sicurezza degli individui” e ci sembra così sorpassato ... ma che impressione leggere Tony Judt, tra i maggiori storici del ‘900, ebreo, ateo e di sinistra affermare (nel 2012!), nella sua autobiografia intellettuale: “as for public ethics, Kant notwhitstanding, we still lack a consensual basis which is not religious in origin”, in Thinking the Twentieth Century.
  • E infine, questa osservazione molto amara: “Quando la religione disertò le anime, non le lasciò, come spesso accade, fiacche e vuote; momentaneamente esse si sentirono colme di idee e di sentimenti che per un certo tempo ne tennero il luogo, e, in un primo tempo, non permisero loro di accasciarsi” p 193 Quante volte abbiamo visto questo negli ultimi decenni: le energie vitali accumulate in secoli di Cattolicesimo - che hanno il loro segno più evidente nel canto e nella musica - vengono bruciate in qualche anno quando un popolo lo abbandona: la dolce vita in Italia, la movida in Spagna e il fervore musicale irlandese. Bei fuochi d’artificio, e alla fine la cenere del cinismo e una popolazione invecchiata …
  • E ci sono conseguenze, anche economiche, molto concrete: “Nulla è tanto superficiale quanto attribuire la grandezza e la potenza di un popolo al solo meccanismo delle leggi; perché in questa materia non è tanto la perfezione dello strumento quanto la forza dei motori a dare i risultati”. E l’Italia attuale, invecchiata e nichilista, che energia vitale ha?
3. Il terzo protagonista è quello estinto, l’antico Francese. Sembra di leggere Peguy, ma in un trattato storico e non in una poesia che sospettiamo sempre, in fondo, di sogno:
  • “Il Re parlava alla nazione più da capo che da padrone … uno degli antenati di Luigi XVI, ringraziando gli Stati Generali per l’ardire delle loro rimostranze, aveva detto “Noi preferiamo parlare a uomini liberi che a servi” p. 155
  • “Gli uomini del diciottesimo secolo non conoscevano affatto quella specie di passione per il benessere che è quasi la madre della schiavitù … Erano migliori e peggiori. I francesi di allora amavano la gioia e adoravano il piacere; erano forse più sregolati nelle abitudini, più disordinati nelle passioni e nelle idee di quelli di oggi … Nelle classi alte ci si preoccupava molto di più di ornare la vita che di renderla comoda e si pensava più ad illustrarsi che ad arricchirsi … ovunque si metteva al disopra del denaro qualche altro bene” p. 156
  • “Per quanto gli uomini dell’antico regime fossero sottomessi alla volontà del re, un genere di obbedienza era loro sconosciuta: non sapevano che cosa fosse piegarsi a un potere illegittimo e contestato … il Re ispirava loro sentimenti che nessun principe, fra i più assoluti apparsi poi nel mondo, fu capace di ispirare, e che sono diventati anche per noi quasi incomprensibili tanto la Rivoluzione ne ha estirpato dai nostri cuori fin la radice. Avevano pel Re la tenerezza che si ha per un padre e il rispetto che si deve a Dio. Sottomettendosi ai suoi ordini più arbitrari non cedevano tanto alla costrizione quanto all’amore e accadeva loro spesso di conservare l’anima liberissima anche nella più estrema dipendenza … peggio di tutto per loro è il sentimento servile che fa obbedire.” p. 157
  • “Non credo neanche che il vero amore di libertà sia nato mai dalla sola prospettiva dei beni materiali che la libertà procura; perché questa prospettiva è spesso nascosta, sebbene a lungo andare la libertà porti sempre a quanti sanno conservarla l’agiatezza, il benessere e spesso la ricchezza. Ma vi sono tempi in cui essa turba momentaneamente l’uso di tali beni; e ve ne sono altri in cui soltanto il dispotismo può darne il godimento passeggero. Gli uomini che nella libertà non apprezzano altro non l’hanno mai conservata a lungo. Ma, in tutti i temi, sono state le sue stesse attrattive, il suo fascino, indipendentemente dai suoi benefici, a farle radicare tanto tenacemente al cuore di certi uomini; è il piacere di poter parlare, agire, respirare senza costrizione, sotto il solo governo di Dio e delle leggi. Chi nella libertà cerca qualche altra cosa all’infuori di essa, è fatto per servire. Certi popoli la inseguono ostinatamente attraverso ogni sorta di pericoli e guai. Ciò che amano allora in essa, non sono i beni materiali che essa offre; essi considerano la libertà in sé come un bene tanto prezioso e necessario ché nulla può consolarli della sua perdita, mentre gustando quella si consolano di tutto. Altri si stancano di essa in mezzo alla prosperità e se la lasciano strappare dalle mani senza resistenza, nel timore di compromettere con uno sforzo quello stesso benessere di cui le sono debitori. A costoro, che cosa manca per restare liberi? Che cosa? Il desiderio stesso di essere tali.” p. 204
Ultima nota: bisogna riconoscere che l’Ancien Regime era un gran casino. Tocqueville riporta una sintesi del processo di approvazione del restauro di un campanile che fa venire il capogiro.
Pensare - come gli Illuministi - che tutti quelli che ci hanno preceduto siano stupidi è un segno di grande stupidità, ma chi si cristallizza nella tradizione non è molto migliore. Non ci sono scorciatoie: ogni generazione deve fare il suo compito, ricevere dal passato senza spocchia, impegnare la propria intelligenza a risolvere i propri problemi e “manutenere" le istituzioni.

Monday, December 2, 2013

"La Repubblica di Barbapapà: Storia irriverente di un potere invisibile"

La Repubblica di Barbapapà: Storia irriverente di un potere invisibile (Saggi italiani) (Italian Edition)La Repubblica di Barbapapà: Storia irriverente di un potere invisibile (Saggi italiani) by Giampaolo Pansa
My rating: 2 of 5 stars

A more apt title would be: My career as a journalist. Pansa focuses more on his professional history than on Scalfari. He often mentions they are no more on speaking terms, but he even fails to explain exactly why.


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Sunday, June 16, 2013

Movimento Passe Livre: Brasil acorda, mas depois pensa.

Naturalmente fiquei muito marcado pelos protestos, e pelo envolvimento que eu vi de muitos meus amigos de Facebook. Me parece que - alem das boas intenções dos manifestantes - tem uma grande probabilidade de mudar o país pelo pior e vou tentar explicar aqui as minhas razões. Espero de ser corrigido para os meus 2.4 leitores se estou errado.

Duas premissas: os 20 centavos foram só a faísca, e a violência da Policia é lamentável.

O que vai acontecer se o MPL "vence"? Vamos nos limitar ao primeiro pedido declarado, ou seja o "passe livre" em São Paulo.

Para Haddad o aumento dos 20 centavos significa 600 milhões de reais . Isso implica uma venda de 3 bilhões de bilhetes ao ano para um valor de 9.6 bilhões. Haddad declara também que há subsídios, e isso faz sentido, considerando somente os custos de expansão do metro (3.4 bi para a linha amarela de 11 km, 65 km planejados para uma projeção de 20 bi a custos atuais sem considerar a inflação).

Se vai ter o passe livre, quase 10 bi devem ser achados em outros lugares do cofre publico. Quem propuser de tirar da saúde, educação e outros serviços públicos vai cometer suicídio político, então o que sobra de "politicamente viável" é obter novos recursos da impostos ou tirar da infra-estrutura e divida publica. Isso para o bilhete em São Paulo mas também para outros setores, imagino (gratuidade das Universidades particulares, com o Estado pagando? Ou estatização das Universidades particulares? ... )

Qual é a situação econômica atual do Brasil?
O país termina agora anos de desenvolvimento econômico devido a estabilidade da política monetária mas principalmente a fatores 'externos': alto valor das commodities (petróleo, agricultura, minerais) -devido ao forte desenvolvimento chines - e importação de capitais que procuravam qualquer lugar para investir que não fosse EUA e Europa. Ambos estão mudando de direção (investimentos e materias primas), e - olha só - Standard&Poors baixa o rating do pais. Podemos prever alguns anos de baixa para a economia brasileira: novos recursos não podem vir de um aumento das entradas fiscaís atrelada a um crescimento da economia. Aumentar os impostos significaria colocar mais peso nas costas de uma economia que já tem problemas e pode gerar uma espiral recessiva como na Europa.

No futuro, o aumento da riqueza vai depender da fatores internos: aumento de produtividade (então infra-estrutura) e inovação (educação, juros baixos para favorecer investimentos e, mais profundamente, alocação dos recursos onde tem retorno).

Nesse cenário, uma política "MPL" tiraria recursos da infra-estrutura e aumentaria a divida puxando para cima os juros. Alem disso, imagino que tal movimento seja contrario a aumentos de eficiência devido ao abatimento das barreiras comercias: abatendo as taxas de importação dos produtos de TI os custos ridiculamente altos cairiam, mas os cerca de 1000 funcionários da Positivo iriam ser demitidos, por exemplo. Qual seria a posição do movimento sobre isso?

Em síntese, o que me parece é que o movimento empurra na direção contraria ao aumento da riqueza e a favor de redistribuição, exatamente quando o problema fundamental seria aumentar o bolo e não decidir como fatiá-lo.

Tem um jeito para iludir o povo que as coisas estão indo bem: continuar uma política de gastos não produzindo riqueza mas endividando-se. Ou seja, passando o poder aos credores (sobretudo estrangeiros) e "gastando" o futuro das próximas gerações que pagariam taxas para os juros das dividas feitas por essa geração. Infelizmente não é muito difícil prever isso: é o que aconteceu na Italia depois do '68 (maiores semelhanças em um próximo post). 

Alem das boas intenções, então, essa mamãe poderia estar - dramaticamente - muito errada ...


Tuesday, May 28, 2013

Pagare per farsi terminare

Ho appena finito di leggere "God and Man at Yale", un libro praticamente sconosciuto in Italia ma che è uno dei testi che ha iniziato il nuovo conservatorismo USA, il movimento culturale che avrebbe poi portato Reagan alla presidenza nel 1981.
William Buckley lo scrive appena uscito da Yale, argomentando che:
- Yale spinge i suoi alunni a posizioni atee o agnostiche in campo religioso, e collettiviste in campo economico;
- gli ex-allievi della scuola, che ne sono i principali finanziatori, non sono allineati con quelle posizioni e non gli è data la possibilità di dettare le linee educative di Yale;
- la libertà accademica vale nel campo della ricerca; nell'educazione si deve proporre il sistema di valori di chi paga per l'educazione stessa.
Buckley appoggia le sue tesi con un'analisi quasi pignola dei fatti, per esempio esaminando uno ad uno i testi dei principali corsi di Yale e gli insegnamenti dei vari professori - citati per nome -, e con un'argomentazione lucida e razionale (mi rimane impresso come dimostra che qualunque scuola ha e non può che avere la sua "ortodossia", punendo con l'esclusione chi non si conforma).

Il libro generò una notevole controversia, e portò Buckley alla notorietà.

Cosa mi ha impressionato?
- quanto fosse "forte" il cristianesimo da un punto di vista sociale: nel discorso inaugurale del 1937, il rettore richiama tutti i membri della facoltà "a riconoscere liberamente la tremenda validità e potere degli insegnamenti di Cristo nella nostra lotta mortale contro le forze del materialismo egoista";
- quanto fosse forte la contrapposizione USA/URSS/comunismo (Buckley negli anni successivi difese McCarthy);
- quanto erano statalisti a Yale e quanto keynesiani, NewDealers e comunisti fossero vicini: da uno dei libri di testo di Economia 1 "Il diritto di una persona di cominciare un'impresa non è tra i diritti fondamentali ... E' un diritto al quale solo un quinto della nostra forza lavoro si trova capace e interessata." Con la stessa logica, urge Buckley, dato che pochi danno discorsi pubblici e fondano giornali, anche la libertà di espressione e stampa sarebbe secondaria.

Ma soprattutto mi ha colpito l'analogia con la situazione italiana, in cui per decenni la popolazione (in stragrande maggioranza cattolica) ha dovuto finanziare con le sue tasse una scuola pubblica usata per distruggere la tradizione di chi la paga.
Come diceva Bobbio: “nella società italiana, dove la religione cattolica è predominante, la libertà della scuola non può avere altra conseguenza, come del resto è avvenuto sinora, che la istituzione quasi esclusiva di scuole cattoliche. Pertanto la libertà nella scuola può essere garantita soltanto nelle scuole di Stato” (La Stampa, 11 marzo 1986).


Sunday, January 13, 2013

Cibo per un mondo sovraffollato

Come dicevo, la popolazione mondiale crescerà fino a 11 miliardi nel 2100 per poi calare, e l'aumento  è causato non dalle nascite ma dall'allungamento della vita media. La soluzione sarebbe quindi l'eutanasia più che il condom.
Fortunatamente per noi, pare che non ci sia bisogno di una soluzione dato che non c'è un problema, almeno se consideriamo la disponibilità di cibo: nonostante l'aumento della popolazione, il consumo di calorie pro capite a livello mondiale dovrebbe crescere, almeno fino al 2030.

(Dati FAO , vedi anche qui)