Friday, January 10, 2014

Alexis de Tocqueville - L'Antico Regime e la rivoluzione

Di Tocqueville si cita normalmente “Democrazia in America”, in cui mi sono arenato a pagina 20 (la terza in cui descrive la geografia della valle del Mississippi). “L’Ancien Regime e la Rivoluzione” (il suo secondo classico, pubblicato nel 1856), invece, l’ho letto con gran gusto, tanto che ho voluto sintetizzarlo qui per i miei pochissimi lettori ...

Il suo metodo è profondamente realista: parte da uno studio ampio e profondo delle fonti originarie ma non ha paura di generalizzare e indicare rapporti di causa e effetto. Il risultato è un libretto svelto e appassionante, pieno di sorprese (non immaginavo che in alcuni paesi tedeschi la servitù della gleba finisse solo nel 1833, per dire) e che mostra le radici della concezione moderna dello Stato.

Se fosse un dramma, vedrebbe tre protagonisti:

1. Il potere. La tesi principale del libro è che l’amministrazione centralista dello stato, voluta dai re assolutisti contro il sistema di autonomie feudali, è passata senza traumi dall’Ancien Regime alla Francia post-rivoluzionaria. Chi agisce sono i re, gli amministratori, gli intellettuali, ma quello che emerge da tutte le loro azioni sembra avere una personalità, una logica e addirittura una psicologia propria, che alla fine vince, unica ad emergere dalle rovine:
  • "Nulla fa supporre che per compiere questo difficile lavoro il governo dell’antico regime avessse seguito un piano profondamente meditato in anticipo: si era soltanto abbandonato all’istinto che porta ogni governo a voler condurre da solo tutti gli affari". p. 98 (qui e in seguito mi riferisco all’edizione BUR tradotta del 2011 a cura di Giorgio Candeloro)
  • "In Francia l’amministrazione pubblica è già caratterizzata dall’odio violento che le ispirano indistintamente tutti coloro, nobili e borghesi, i quali al di fuori di essa vogliono occuparsi d’interessi pubblici. Il più piccolo ente che sembri volersi formare senza la sua partecipazione le fa paura; la più piccola associazione libera, qualunque ne sia lo scopo, la infastidisce. Lascia sussistere soltanto quelle che essa ha arbitrariamente composte e che presiede. Le stesse grandi compagnie industriali le sono poco gradite: in una parla, non ammette che i cittadini si occupino, in una qualsiasi maniera, dei loro interessi; preferisce la sterilità alla concorrenza.” p. 103
Un potere così è come un padre che - non amando la libertà dei suoi figli - si sostituisce a loro. Un potere onnipotente educa figli impotenti:
  • "Nessuno pensa di portare a termine qualche cosa di importante senza che lo Stato intervenga” p 107
  • "Agli occhi della maggioranza, soltanto il governo ormai può assicurare l’ordine pubblico: il popolo non ha paura che della gendarmeria a cavallo, i proprietari non si fidano che di essa. Per gli uni e per gli altri, il gendarme a cavallo non è solo il principale difensore dell’ordine, è l’ordine stesso” p. 108
  • "Avendo il governo preso il posto della Provvidenza, è naturale che ognuno l’invochi nelle sue private necessità” p. 108
Impotenti, e resi uguali (“omologati”, direbbe Pasolini) e divisi tra loro:
  • "La Francia era il paese in cui gli uomini erano divenuti più simili tra loro: tutti gli uomini che l’abitano, particolarmente quelli della media e dell’alta classe della società, i soli che si fanno notare, sembrano tutti esattamente eguali gli uni agli altri” p. 117
  • "Questi uomini tanto simili erano più separati di quanto non erano mai stati in piccoli gruppi estranei e indifferenti gli uni agli altri“ p. 123
  • "Il dispotismo, invece di lottare contro questa tendenza [all’individualismo], la rende irresistibile perché toglie ai cittadini ogni passione comune, ogni mutuo bisogno, ogni necessità di capirsi, ogni occasione di agire insieme; li mura, per così dire, nella vita privata” p. 31
  • “... così che il Governo si trovasse di fronte solo un piccolissimo numero di uomini separati gli uni dagli altri” p. 145
  • “Quando sopravvenne la rivoluzione vanamente si sarebbero cercati nella maggior parte della Francia dieci uomini i quali avessero l’abitudine di agire in comune secondo una regola” p. 243 

2. Gli Illuministi, nati dall’astrazione e generatori dei rivoluzionari di tutte le epoche posteriori.
  • "La condizione stessa di questi scrittori li preparava a prediligere in materia di governo le teorie generali e astratte e a credervi ciecamente. Nell’immenso distacco dalla pratica in cui vivevano, nessuna esperienza veniva a temperare in loro gli ardori istintivi; nulla li avvertiva degli ostacoli che i fatti potevano opporre anche alle riforme più desiderabili; non avevano nessuna idea dei pericoli a cui si accompagnano sempre le rivoluzioni più necessarie, non li presentivano neppure, perché l’assenza completa di libertà politica faceva sì che il mondo degli affari pubblici non soltanto fosse loro mal noto, ma invisibile. … Divennero così più arditi nelle loro innovazioni, più amanti delle idee generali, più sprezzatori della saggezza antica e anche più fiduciosi nella loro ragione individuale di quanto per solito non siano gli autori che scrivono libri speculativi sulla politica.” p. 179
  • “ … si videro rivoluzionari di una specie sconosciuta, che portarono l’audacia fino alla follia, che nessuna novità poté sorprendere, nessuno scrupolo trattenere e che non esitarono mai davanti all’attuazione di alcun proposito. E non bisogna credere che questi esseri nuovi fossero stati la creazione isolata ed effimera di un momento, destinati a passare con essa; hanno formato una razza che si è perpetuata e diffusa in tutte le parti civili della terra e che dovunque ha conservato la stessa fisionomia, le stesse passioni, lo stesso carattere. L’abbiamo trovata nel mondo nascendo; e l’abbiamo ancora sotto gli occhi” p. 194  Qui parla dei sessantottini, degli ecologisti e dei nazi-gay, giusto? Cochin descrive organizzazione e azione dei club giacobini prima della Rivoluzione e sembra di rivedere i gruppi extraparlamentari del ’68. A scanso di equivoci, non può averli visti, né loro né i loro nonni bolscevichi: è morto nel ’16 nella mattanza della Prima Guerra Mondiale, come Peguy]
  • "Essi non odiano soltanto certi privilegi, ma ogni differenza; adorano l’uguaglianza fin nella schiavitù. Quanto intralcia i loro piani è buono soltanto ad essere spezzato. I contratti ispirano loro poco rispetto, i diritti privati, nessun riguardo. O piuttosto, a parlare chiaramente, non esistono già più ai loro occhi diritti privati, ma solo l’utilità pubblica” “Per il passato, hanno un disprezzo senza limiti” “ Si dimostrano molto nemici delle assemblee deliberanti, dei poteri locali e secondari e, in generale, di quei contrappesi che in tutti i tempi, fra i popoli liberi, sono stati messi per bilanciare il potere centrale … La sola garanzia che escogitano contro l’abuso del potere è l’educazione pubblica.” p. 199
  • “Bisogna che lo Stato governi secondo le regole dell’ordine naturali e in tal caso bisogna che sia onnipotente!” Mercier de la Riviere. “Secondo gli economisti, lo Stato non deve solo comandare alla nazione ma foggiarla in un dato modo … è suo dovere penetrarli di certe idee e fornire al loro cuore i sentimenti che giudica necessari” “Lo Stato fa degli uomini tutto ciò che vuole” (Bodreau). p. 200 Piccole note che fanno capire il furore talebano dei sostenitori della scuola pubblica.
  • e si capisce che il Comunismo è la naturale evoluzione di questa concezione: “Nulla nella società apparterrà singolarmente e in proprietà a nessuno. La proprietà è detestabile e colui che tenterà di ristabilirla sarà rinchiuso per tutta la vita, come un pazzo furioso e nemico dell’umanità. Ogni cittadino sarà sostentato, mantenuto e occupato a spese del pubblico. Tutti i prodotti saranno ammassati nei magazzini pubblici per essere distribuiti a tutti i cittadini e servire ai loro bisogni. Le città saranno costruite su uno stesso piano; tutti gli edifici per uso privato saranno eguali. A cinque anni tutti i bambini saranno tolti alla famiglia e educati in comune, a spese dello Stato, in maniera eguale” Codice della Natura, Morelly 1755. p. 201
  • Chi vince, guarda un po’, è il potere: “Si accinsero allora a mettere insieme un accentramento amministrativo sconfinato e un corpo legislativo preponderante: l’amministrazione della burocrazia e il Governo degli elettori. La nazione come corpo ebbe tutti i diritti della sovranità; il singolo cittadino fu chiuso nella più stretta dipendenza. All’una furono chieste l’esperienza e la virtù di un popolo libero; all’altro, le qualità di un buon servitore” p. 201
  • Caro rivoluzionario, non mi interessa molto se è per una buona causa che mi ammazzi: “Ad accrescere il male fu precisamente l’intenzione pura e disinteressata che faceva agire il Re e i suoi ministri; perché non v’è esempio più pericoloso della violenza esercitata a buon fine e da persone per bene” p. 226 E di morti la Rivoluzione Francese ne ha fatti: “An estimated 17,000 French men and women were executed after due process, between 12,000 and 40,000 went to the guillotine or gallows without a trial, and somewhere between 80,000 and 300,000 perished in the suppression of the royalist rebellion in the Vendée.” Ferguson, Niall (2011-03-03). Civilization: The West and the Rest (p. 155). Penguin”, citando http://necrometrics.com/wars18c.htm#FrRev1
Il “furore anticattolico della rivoluzione” è solo una conseguenza, potremmo dire, minore:
  • "Per capire è necessario non perdere mai di vista … che tutto lo spirito politico di opposizione provocato dai vizi del governo, non potendo rivelarsi negli affari pubblici, si era rifugiato nella letteratura, e gli scrittori erano divenuti i veri capi del grande partito che voleva rovesciare tutte le istituzioni sociali e politiche del paese. [Si consideri anche che questi avevano visto svanire i loro avversari naturali nella lotta delle idee con la soppressione - drammatica e misteriosa - dell’ordine dei Gesuiti, avvenuta in Francia nel 1764]. Posto bene in chiaro questo, la questione cambia. Non si tratta più di sapere in che modo la Chiesa di quel tempo potesse peccare come istituzione religiosa, ma in che cosa ella ostacolasse la rivoluzione politica che si preparava e in qual modo potesse essere particolarmene molesta agli scrittori che della rivoluzione erano i promotori principali.” Generalizzando, non ho mai visto nessuno scagliarsi contro i peccati della Chiesa per amore alla Chiesa, normalmente per lo fanno per disegni di potere.
  • Nota a margine: Tocqueville afferma (p. 191) “Il rispetto della religione garantisce …, più di ogni altra cosa, la stabilità dello Stato e la sicurezza degli individui” e ci sembra così sorpassato ... ma che impressione leggere Tony Judt, tra i maggiori storici del ‘900, ebreo, ateo e di sinistra affermare (nel 2012!), nella sua autobiografia intellettuale: “as for public ethics, Kant notwhitstanding, we still lack a consensual basis which is not religious in origin”, in Thinking the Twentieth Century.
  • E infine, questa osservazione molto amara: “Quando la religione disertò le anime, non le lasciò, come spesso accade, fiacche e vuote; momentaneamente esse si sentirono colme di idee e di sentimenti che per un certo tempo ne tennero il luogo, e, in un primo tempo, non permisero loro di accasciarsi” p 193 Quante volte abbiamo visto questo negli ultimi decenni: le energie vitali accumulate in secoli di Cattolicesimo - che hanno il loro segno più evidente nel canto e nella musica - vengono bruciate in qualche anno quando un popolo lo abbandona: la dolce vita in Italia, la movida in Spagna e il fervore musicale irlandese. Bei fuochi d’artificio, e alla fine la cenere del cinismo e una popolazione invecchiata …
  • E ci sono conseguenze, anche economiche, molto concrete: “Nulla è tanto superficiale quanto attribuire la grandezza e la potenza di un popolo al solo meccanismo delle leggi; perché in questa materia non è tanto la perfezione dello strumento quanto la forza dei motori a dare i risultati”. E l’Italia attuale, invecchiata e nichilista, che energia vitale ha?
3. Il terzo protagonista è quello estinto, l’antico Francese. Sembra di leggere Peguy, ma in un trattato storico e non in una poesia che sospettiamo sempre, in fondo, di sogno:
  • “Il Re parlava alla nazione più da capo che da padrone … uno degli antenati di Luigi XVI, ringraziando gli Stati Generali per l’ardire delle loro rimostranze, aveva detto “Noi preferiamo parlare a uomini liberi che a servi” p. 155
  • “Gli uomini del diciottesimo secolo non conoscevano affatto quella specie di passione per il benessere che è quasi la madre della schiavitù … Erano migliori e peggiori. I francesi di allora amavano la gioia e adoravano il piacere; erano forse più sregolati nelle abitudini, più disordinati nelle passioni e nelle idee di quelli di oggi … Nelle classi alte ci si preoccupava molto di più di ornare la vita che di renderla comoda e si pensava più ad illustrarsi che ad arricchirsi … ovunque si metteva al disopra del denaro qualche altro bene” p. 156
  • “Per quanto gli uomini dell’antico regime fossero sottomessi alla volontà del re, un genere di obbedienza era loro sconosciuta: non sapevano che cosa fosse piegarsi a un potere illegittimo e contestato … il Re ispirava loro sentimenti che nessun principe, fra i più assoluti apparsi poi nel mondo, fu capace di ispirare, e che sono diventati anche per noi quasi incomprensibili tanto la Rivoluzione ne ha estirpato dai nostri cuori fin la radice. Avevano pel Re la tenerezza che si ha per un padre e il rispetto che si deve a Dio. Sottomettendosi ai suoi ordini più arbitrari non cedevano tanto alla costrizione quanto all’amore e accadeva loro spesso di conservare l’anima liberissima anche nella più estrema dipendenza … peggio di tutto per loro è il sentimento servile che fa obbedire.” p. 157
  • “Non credo neanche che il vero amore di libertà sia nato mai dalla sola prospettiva dei beni materiali che la libertà procura; perché questa prospettiva è spesso nascosta, sebbene a lungo andare la libertà porti sempre a quanti sanno conservarla l’agiatezza, il benessere e spesso la ricchezza. Ma vi sono tempi in cui essa turba momentaneamente l’uso di tali beni; e ve ne sono altri in cui soltanto il dispotismo può darne il godimento passeggero. Gli uomini che nella libertà non apprezzano altro non l’hanno mai conservata a lungo. Ma, in tutti i temi, sono state le sue stesse attrattive, il suo fascino, indipendentemente dai suoi benefici, a farle radicare tanto tenacemente al cuore di certi uomini; è il piacere di poter parlare, agire, respirare senza costrizione, sotto il solo governo di Dio e delle leggi. Chi nella libertà cerca qualche altra cosa all’infuori di essa, è fatto per servire. Certi popoli la inseguono ostinatamente attraverso ogni sorta di pericoli e guai. Ciò che amano allora in essa, non sono i beni materiali che essa offre; essi considerano la libertà in sé come un bene tanto prezioso e necessario ché nulla può consolarli della sua perdita, mentre gustando quella si consolano di tutto. Altri si stancano di essa in mezzo alla prosperità e se la lasciano strappare dalle mani senza resistenza, nel timore di compromettere con uno sforzo quello stesso benessere di cui le sono debitori. A costoro, che cosa manca per restare liberi? Che cosa? Il desiderio stesso di essere tali.” p. 204
Ultima nota: bisogna riconoscere che l’Ancien Regime era un gran casino. Tocqueville riporta una sintesi del processo di approvazione del restauro di un campanile che fa venire il capogiro.
Pensare - come gli Illuministi - che tutti quelli che ci hanno preceduto siano stupidi è un segno di grande stupidità, ma chi si cristallizza nella tradizione non è molto migliore. Non ci sono scorciatoie: ogni generazione deve fare il suo compito, ricevere dal passato senza spocchia, impegnare la propria intelligenza a risolvere i propri problemi e “manutenere" le istituzioni.

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